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Europarlamentari italiani contrari al bando dei piatti in plastica: non risolve il problema, danneggia l’industria italiana

Un consistente gruppo di europarlamentari italiani (Forza Italia, Lega e PD) denuncia l’approccio ideologico e le mancate valutazioni sull’impatto economico della proposta di Direttiva UE che prevede la messa al bando di una serie di prodotti monouso in plastica. Una proposta tanto più impattante se si considera che il divieto riguarderebbe soprattutto l’industria italiana leader in Europa: almeno 25 aziende, con un giro d’affari nell’ordine di un miliardo di euro e oltre 3000 occupati.
Secondo i parlamentari italiani non è con un bando che si risolve l’inquinamento dei mari e degli oceani, originato perlopiù da 10 fiumi extra europei. L’Italia denuncia inoltre il rischio per il consumatore di un approccio superficiale: per scrivere la proposta non è stata neppure richiesta
la valutazione dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) sui rischi che l’eliminazione dei prodotti monouso in plastica potrebbe causare alla sicurezza alimentare, rischi ben presenti almeno secondo un recentissimo studio del professor David Mc Dowell dell’Università dell’Ulster.
Secondo gli europarlamentari la Direttiva affronta il problema dell’inquinamento ambientale da plastica con soluzioni inadeguate e superficiali e soprattutto con una fretta che sembra motivata solo dalla scadenza elettorale della prossima primavera.

Per ribadire la contrarietà al bando di piatti e posate monouso in plastica
martedì 23 ottobre alle ore 17.00 gli europarlamentari italiani
Nicola Caputo (S&D), Elisabetta Gardini (PPE) e Danilo Oscar Lancini (ENF)
terranno una conferenza stampa
Strasburgo, Sala LOW N-1/201

Marco Omboni, presidente Pro.mo (Produttori Stoviglie Monouso in Plastica) ha partecipato a un recente incontro sul tema, organizzato dagli Onorevoli Gardini e Caputo al Parlamento Europeo e commenta così: “sono intervenuto all’incontro, portando fra l’altro un pacchetto di impegni e proposte dei produttori di stoviglie monouso: dall’utilizzo di crescenti e consistenti quote di plastica da riciclo per i nostri prodotti, al raggiungimento di obiettivi di riciclo allineati a quelli previsti dalla stessa Commissione Europea per il packaging plastico. Un’applicazione dell’economia circolare che allontanerebbe ancor più i nostri prodotti dal rischio di diventare littering, un rischio che va comunque ridimensionato alla luce dei dati reali sulle origini del fenomeno, che in Europa è soprattutto dovuto a comportamenti scorretti.

Abbiamo parlato della piena disponibilità a comunicare con forza e chiarezza come i nostri prodotti possano essere monouso solo quando serve. Le nostre valutazioni fanno ritenere che anche con solo due lavaggi in lavastoviglie (3 utilizzi) il loro impatto ambientale si abbatta fortemente. Abbiamo portato dati che evidenziano come tutte le alternative monouso sul mercato non possano
risolvere i problemi della dispersione nell’ambiente e nei mari e, come alcune fra le alternative percepite come molto “green”, abbiano in realtà un impatto ambientale globale mediamente superiore a quello del monouso in plastica.

Abbiamo detto a chiare lettere che laddove si può va privilegiato l’utilizzo di stoviglie riutilizzabili, ma che in molti casi questo non è possibile per ragioni funzionali, di sicurezza e di igiene, valori che pure fanno parte di una sostenibilità globale.

Tutto questo e altro abbiamo proposto, per sentirci rispondere dai due referenti di vertice della Commissione Ambiente Europea presenti all’incontro, un austriaco e un tedesco, che “voi dovete trovare dei materiali alternativi”, e che “i vostri prodotti sono emblematici di un certo stile di vita che favorisce l’utilizzo della plastica monouso”.

La massima delle concessioni ipotizzate sembra essere un futuro da “riserva indiana”, in cui questi prodotti restano in vita, ancora per poco, nelle situazioni in cui non se ne può fare a meno (ospedali, mense, emergenze…), per poi farsi da parte a favore di nuove alternative, senza indicare quali. Una posizione che la dice lunga sulla conoscenza che questi funzionari dimostrano di avere sul funzionamento dei moderni comparti industriali e sulla loro capacità di adattarsi al mondo che cambia.

Sono uscito da quell’incontro con la conferma di una sensazione da tempo maturata: il problema del littering – che c’è e va risolto – è una sorta di catalizzatore che raccoglie l’incapacità di governare stili di vita popolari (che la vita moderna, ci piaccia o no, richiede), un distorto intento educativo, e ancora l’ansia di dimostrare un impegno ambientale per compiacere un certo estremismo ambientalista, magari in vista delle prossime elezioni europee.

La proposta di Direttiva dell’UE è una scorciatoia certamente più facile di un vero e costruttivo impegno ambientale, una scorciatoia che, come bene sottolineano i nostri europarlamentari, farebbe del male quasi esclusivamente all’Italia, che è il più grande mercato di utilizzo e produzione di questi articoli.”