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Terre e rocce da scavo: il punto sulla normativa alla luce del pacchetto Circular Economy – Cassazione 4781 del 8 febbraio 2021

Di avv. Rosa Bertuzzi e dott. Isacco Barbuti*

La recente e tanto discussa introduzione del decreto cosiddetto “Economia Circolare”, di cui al D.Lgs 116/2020, che ha apportato rilevanti modifiche sul sistema di gestione dei rifiuti, riformando in più punti la parte Quarta del Testo Unico Ambientale, offre lo spunto per tornare a parlare, ancora una volta, della disciplina, avente natura eccezionale derogatoria rispetto ai principi del Testo Unico Ambientale, relativa alle terre e rocce da scavo, al fine di verificare se, e in che misura, tale disciplina, contenuta nel DPR 120/2017, rappresenta effettivamente una vera e propria ‘semplificazione’ della gestione delle terre e rocce da scavo, alla luce delle novità introdotte da settembre 2020.

La normativa di riferimento del presente articolo, che si vuole cercare di illustrare, come intuito è rappresentata dal DPR 120/17 e dal TUA, ciascuno dei quali disciplina differenti aspetti e situazioni, che verranno analizzate in seguito.

Muovendo i primi passi dal DPR di riferimento, all’art. 2 viene individuata la definizione di terre e rocce da scavo, ovvero: “il suolo escavato derivante da attività finalizzate alla realizzazione di un’opera tra le quali: scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee); perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento; opere infrastrutturali (gallerie, strade); rimozione e livellamento di opere in terra. Le terre e rocce da scavo possono contenere anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato, purché le terre e rocce contenenti tali materiali non presentino concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti di cui alle colonne A e B, tabella 1, allegato 5, al titolo V della parte Quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per la specifica destinazione d’uso”.

Tali materiali, possono, in prima battuta, sulla base dell’art. 1 del Regolamento, essere considerate come rifiuti, e quindi sottoposti alla disciplina generale sulla gestione dei rifiuti del Testo Unico Ambientale, con la peculiarità prevista dall’art. 23 del regolamento per quanto concerne il deposito temporaneo, oppure essere qualificati come sottoprodotti ai sensi dell’art. 184bis TUA, qualora soddisfino le condizioni previste dal regolamento, e quindi gestite in conformità a quanto disposto da quest’ultimo. Vi sono poi, sempre all’interno del regolamento, disposizioni specifiche per l’utilizzo, nel sito in cui sono prodotte, delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti.

Terre qualificate come sottoprodotti

Al fine di poter considerare una determinata sostanza come sottoprodotto, e non come rifiuto, l’art. 184-bis del Testo Unico Ambientale impone diversi requisiti che devono sussistere:

a)  la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b)  è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c)  la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d)  l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

Tali disposizioni si applicano in via generale a tutti i rifiuti, tuttavia, il regolamento amministrativo, in attuazione dei principi legislativi, ha previsto all’articolo 4, comma 2, più specifici requisiti finalizzati alla qualificazione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto.

Tali requisiti, elaborati sulla falsa riga di quelli di cui all’art. 184-bis, sono:

a) le terre e rocce da scavo devono essere realizzate durante un’opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale;

b) il loro utilizzo deve essere conforme alle disposizioni indicate nel Piano di utilizzo o della dichiarazione di utilizzo (rispettivamente artt. 9 e 21) e deve altresì realizzarsi nel corso dell’esecuzione della stessa opera, o in un’opera diversa, per l’effettuazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari, ripristini, oppure nell’ambito dei processi produttivi in sostituzione dei materiali da cava;

c) devono essere idonee a poter essere utilizzate direttamente, senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dai capi II, III e IV del Regolamento (rispettivamente per i cantieri di grande dimensione, di piccole dimensioni, di grande dimensione non sottoposti a VIA o ad AIA), per le modalità di utilizzo specifico di cui alla lett. b).

Ulteriormente, lo stesso art. 4 del Regolamento prescrive che, nei casi in cui le terre e rocce da scavo contengano materiali da riporto, la componente di materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale non può superare la quantità massima del 20% in peso, da quantificarsi secondo la metodologia prevista dall’allegato 10 del medesimo Regolamento (“Metodologia per la quantificazione dei materiali di origine antropica di cui all’articolo 4, comma 3”). In questi casi, le matrici ambientali di riporto, oltre a dover rispettare i requisiti ambientali di cui alla lettera d), sono altresì sottoposte al test di cessione, al fine di assicurare che le stesse rispettino anche le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) previste dalla tabella 2 dell’allegato V alla parte Quarta del Testo Unico Ambientale.

La sussistenza di tutti questi requisiti è attestata nel Piano di utilizzo o nella dichiarazione di utilizzo, dal produttore stesso di tali terre o dal soggetto che propone tali documenti, qualora diverso, nonché nella dichiarazione di avvenuto utilizzo art. 7 del DPR 120/2017.

Per quanto concerne, nello specifico, le modalità di utilizzo delle terre qualificate come ‘sottoprodotti’, il regolamento distingue tre diverse categorie: 1) terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni, 2) terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di grandi dimensioni sottoposti ad AIA; 3) terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o ad AIA.

In tal senso si è pronunciata la Suprema Corte (Cassazione 8 febbraio 2021, n, 4781) dalla quale emerge: “… con riguardo ai materiali in questione non trova applicazione la disciplina regolamentare contenuta nel d.m. Min. ambiente e tutela del territorio e del mare 13 ottobre 2016, n. 264 (Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti), il cui ambito di applicazione, quale definito all’art. 3, fa salve «le disposizioni speciali adottate per la gestione di specifiche tipologie e categorie di residui, tra cui le norme in materia di gestione delle terre e rocce da scavo». Questi materiali, e la possibilità di qualificarli come sottoprodotti, trovano oggi la loro esclusiva disciplina nel citato D.P.R. 120/2017, rispetto al quale non è ravvisabile alcuna violazione dei principi di legalità in materia penale, trattandosi di fonte secondaria delegata, assolutamente conforme ai principi e criteri direttivi fissati nella legge, che assolve il compito di precisare a quali condizioni la gestione delle terre e rocce da scavo eccezionalmente consenta di sottrarre tali materiali alla disciplina, anche penale, prevista dalla legge in materia di rifiuti…” .

Terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di grandi dimensioni

Gli articoli da 9 a 18 del Regolamento si applicano alla gestione delle terre e rocce da scavo generate nei cantieri che presentano le caratteristiche dimensionali previste dall’art. 2, comma 1, lett. u), ovvero: “cantieri in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità superiori a seimila metri cubi, calcolati dalle sezioni di progetto, nel corso di attività o opere soggette a procedure di valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale”, che soddisfano i sopra citati requisiti di cui all’art. 4, i requisiti di qualità ambientale specificamente individuati dall’allegato 4, sulla base delle risultanze della caratterizzazione ambientale e delle procedure di campionamento effettuate dal proponente del Piano di utilizzo, sul sito interessato con le modalità previste dagli allegati 1 e 2 del Regolamento. Tale caratterizzazione delle matrici ambientali deve essere effettuata prima dell’inizio dello scavo.

In questo caso il rispetto dei sopra citati requisiti previsti dall’art. 4 deve essere attestato nel Piano di utilizzo, il quale deve essere trasmesso dal proponente all’autorità competente e all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente con almeno novanta giorni di anticipo rispetto all’inizio dei lavori, e comunque, prima della conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale o di autorizzazione integrata ambientale. All’interno del Piano il legale rappresentante dell’impresa o la persona fisica proponente l’opera, inserisce l’attestazione, nelle forme del DPR 445/2000, con la quale conferma la sussistenza dei requisiti necessari. Decorsi novanta giorni dalla presentazione del Piano di utilizzo ovvero dalla eventuale integrazione dello stesso su richiesta dell’autorità competente, il proponente, nel rispetto dei requisiti dell’art. 4, può dare inizio alla gestione delle terre e rocce da scavo con le modalità indicate nel Piano.

L’autorità competente, qualora accerti la mancanza di uno dei requisiti previsti, dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione delle attività di gestione delle terre come sottoprodotti.

La caratterizzazione ambientale effettuata sulle terre e rocce da scavo nell’ambito dei cantieri di grandi dimensioni, è finalizzata a valutare la conformità dei parametri indicati nell’allegato 4 (tabella 4.1) con i valori di CSC previsti dal Testo Unico Ambientale.

Qualora tali parametri siano conformi ai valori di CSC, il proponente può procedere con la trasmissione del piano regolarmente. Viceversa, qualora tali parametri siano superiori alle CSC, è fatta salva la possibilità che tali valori vengano assunti pari al valore di fondo naturale esistente. A tal fine, è però necessario che in fase di predisposizione del piano, il proponente effettui la comunicazione prevista dall’art. 242 del D.Lgs 152/2006 e contestualmente redige un piano di indagine, da proporre all’agenzia di protezione ambientale territorialmente competente, per definire i valori di fondo naturale da assumere. In quest’ultimo caso, le terre possono essere riutilizzate nel sito di produzione oppure in altro sito purché quest’ultimo presenti valori di fondo naturale con caratteristiche analoghe in termini di concentrazione per tutti i parametri oggetto del superamento delle CSC riscontrato con la caratterizzazione del sito di produzione.

Da ultimo, si sottolinea che il Piano di utilizzo ha una durata limitata che deve essere indicata nel piano stesso. L’inizio dei lavori deve avvenire entro due anni dalla presentazione del piano, salvo proroghe motivate dall’autorità competente in ragione dell’opera da realizzare. Allo scadere del termine di efficacia del Piano di utilizzo, oppure decorsi inutilmente i due anni dalla sua trasmissione senza che siano iniziati i lavori, viene meno la qualifica di sottoprodotto per le terre e rocce da scavo, con la conseguenza che le stesse andranno gestite come rifiuti ai sensi della parte Quarta del TUA. Alla stessa sorte soggiacciono le terre per le quali viene meno una delle condizioni previste dall’articolo 4, salva in questo caso la possibilità di provvedere tempestivamente all’aggiornamento del Piano di utilizzo.

Terre e rocce da scavo prodotte in cantieri di piccole dimensioni

Il capo III del Regolamento (artt. 20 e 21), si applica alle terre e rocce da scavo provenienti dai cantieri di piccole dimensioni, ovvero quelli in cui la produzione di tali materiali non superi i seimila metri cubi, “calcolati dalle sezioni di progetto, nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, comprese quelle prodotte nel corso di attività o opere soggette a valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale”. In questo caso in luogo del Piano di utilizzo, si fa riferimento alla “dichiarazione di utilizzo per cantieri di piccole dimensioni” (art. 21). Il soggetto produttore dei materiali da scavo, è chiamato a dimostrare la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato V alla parte Quarta del TUA, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione, oltre al fatto che le terre e rocce da scavo i questione non costituiscano fonte diretta di contaminazione per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale. Anche in questo caso, è ammessa la possibilità di assumere a valori di fondo naturale eventuali superamenti delle CSC a condizione che vengano rispettate le stesse procedure previste per lo stesso caso nell’ambito dei cantieri di grandi dimensioni (comunicazione ai sensi dell’art. 242 TUA, nonché predisposizione del piano di indagine).                                        .
La dichiarazione di utilizzo, con cui il produttore attesta il rispetto dei requisiti di cui all’art. 4 nelle forme del DPR 445/2000, può essere trasmessa, anche solo telematicamente, almeno 15 giorni prima dell’inizio dei lavori di scavo (in luogo dei 90) al Comune del luogo di produzione nonché all’Agenzia regionale territorialmente competente.

Terre e rocce da scavo prodotte in cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a via e aia

Il capo IV del Regolamento (art. 22) si riferisce alle terre e rocce da scavo prodotte in cantieri in cui la produzione di tali materiali supera i seimila metri cubi, “calcolati dalle sezioni di progetto, nel corso di attività o opere non soggette a valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale” e si limita a rinviare alle stesse procedure prescritte per i cantieri di piccole dimensioni, relativamente ai requisiti ambientali (art. 20) e alle modalità e al contenuto della dichiarazione di utilizzo (art. 21).

Terre e rocce da scavo nei siti oggetto di bonifica

In caso di scavi da realizzare in siti che sono oggetto di bonifica, già caratterizzati ai sensi dell’art. 242 TUA, l’art. 25 del Regolamento prevede le seguenti procedure specifiche.

a)  Nella realizzazione degli scavi è analizzato un numero significativo di campioni di suolo insaturo prelevati da stazioni di misura rappresentative dell’estensione dell’opera e del quadro ambientale conoscitivo. Il piano di dettaglio, comprensivo della lista degli analiti da ricercare è concordato con l’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente che si pronuncia entro e non oltre il termine di trenta giorni dalla richiesta del proponente, eventualmente stabilendo particolari prescrizioni in relazione alla specificità del sito e dell’intervento. Il proponente, trenta giorni prima dell’avvio dei lavori, trasmette agli Enti interessati il piano operativo degli interventi previsti e un dettagliato cronoprogramma con l’indicazione della data di inizio dei lavori.

b)  Le attività di scavo sono effettuate senza creare pregiudizio agli interventi e alle opere di prevenzione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino necessarie ai sensi del Titolo V, della Parte IV, e della Parte VI del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e nel rispetto della normativa vigente in tema di salute e sicurezza dei lavoratori. Sono, altresì, adottate le precauzioni necessarie a non aumentare i livelli di inquinamento delle matrici ambientali interessate e, in particolare, delle acque sotterranee soprattutto in presenza di falde idriche superficiali. Le eventuali fonti attive di contaminazione, quali rifiuti o prodotto libero, rilevate nel corso delle attività di scavo, sono rimosse e gestite nel rispetto delle norme in materia di gestione dei rifiuti.

Ulteriormente, il successivo art. 26, dispone che l’utilizzo delle terre e rocce da scavo all’interno dei siti oggetto di bonifica è sempre consentito a condizione che sia garantita la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione per la specifica destinazione d’uso o ai valori di fondo naturale. Qualora tali concentrazioni siano superate, ma comunque risulti rispettato il valore delle concentrazioni soglia di rischio, l’utilizzo delle terre e rocce da scavo è subordinata al rispetto di quattro condizioni: 1) le CSR sono approvate dall’autorità competente nell’ambito delle procedure previste dagli articoli 242 e 252 del TUA; 2) le terre sono riutilizzate nella medesima area assoggettata all’analisi di rischio; 3) le stesse non sono riutilizzate in sub-aree nelle quali è stato accertato il rispetto delle CSC; 4) nel caso in cui, ai fini del calcolo delle CSR non sia stato preso in considerazione il percorso di lisciviazione di falda, l’utilizzo delle terre è consentito solo nel rispetto delle condizioni e delle limitazioni d’uso indicate all’atto dell’approvazione dell’analisi di rischio da parte dell’autorità competente.

Dichiarazione di avvenuto utilizzo

L’art. 7 del  Regolamento prescrive che l’esecutore dell’opera, oppure il produttore delle terre, è tenuto, una volta completato il riutilizzo delle terre e rocce da scavo secondo le modalità, i limiti, i quantitativi  e i siti destinatari indicati nel piano o nella dichiarazione, a darne attestazione, sempre nelle forme previste dal DPR 445/2000, all’autorità competente e all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente, con un’apposita “dichiarazione di avvenuto utilizzo”, da trasmettere anche in modalità telematica, tramite il modulo contenuto nell’allegato 8 del Regolamento.

Terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti

Qualora non vengano rispettati i requisiti indicati nell’articolo 4 del Regolamento, ovvero qualora non vengano rispettate le modalità di utilizzo prescritte nel Piano di utilizzo, ovvero qualora decorrano inutilmente i relativi termini di inizio e fine lavori, così come nel caso di omessa presentazione della dichiarazione di avvenuto utilizzo nei termini, comporta, ai sensi del Regolamento, la perdita della qualifica di sottoprodotto delle terre e rocce da scavo, con la conseguenza che le stesse dovranno immediatamente essere gestite come rifiuti ai sensi della parte Quarta del TUA, salva l’applicazione, eventualmente, delle sanzioni correlate alla gestione dei rifiuti non autorizzata, previste dal medesimo decreto legislativo. È chiaro che, secondo alcuni orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, l’applicazione di sanzioni penali correlate alla gestione del medesimo materiale (terre e rocce da scavo) per il mero fatto che non è più vigente il Piano di utilizzo, rappresenta un’applicazione piuttosto eccessiva della norma ambientale, che andrebbe a punire non già una attività di gestione dei rifiuti nuova, bensì la stessa medesima attività gestoria relativa al medesimo materiale, che solo formalmente risulta non più ‘assicurato’ dal Piano di utilizzo originariamente presentato. Ciò naturalmente solo nel caso in cui si possa rappresentare all’autorità giudiziaria che le terre e rocce da scavo oggetto di un’eventuale contestazione presentino le medesime caratteristiche di compatibilità ambientale precedentemente possedute.

Ad ogni modo, come si è detto, le terre e rocce da scavo per le quali, per qualsiasi motivo, non possono essere gestite come sottoprodotti devono essere gestite come rifiuti, applicando tutte le disposizioni contenute nel D.Lgs 152/2006 (TUA) salvo una precisa deroga prevista dal qui analizzato DPR 120/2017, relativa al deposito temporaneo. L’art. 23 del citato regolamento prevede una deroga alle disposizioni generali previste dagli artt. 183 e 185-bis del TUA per tutti i rifiuti. In particolare, per le terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti con CER 17.05.04 oppure 17.05.03*, il deposito temporaneo deve avvenire nel rispetto di specifiche condizioni:

a) le terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti contenenti inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004 sono depositate nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e sono gestite conformemente al predetto regolamento;

b)  le terre e rocce da scavo sono raccolte e avviate a operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative: 1) con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; 2) quando il quantitativo in deposito raggiunga complessivamente i 4000 metri cubi, di cui non oltre 800 metri cubi di rifiuti classificati come pericolosi. In ogni caso il deposito temporaneo non può avere durata superiore a un anno;

c)  il deposito è effettuato nel rispetto delle relative norme tecniche;

d)  nel caso di rifiuti pericolosi, il deposito è realizzato nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute e in maniera tale da evitare la contaminazione delle matrici ambientali, garantendo in particolare un idoneo isolamento dal suolo, nonché la protezione dall’azione del vento e dalle acque meteoriche, anche con il convogliamento delle acque stesse.

Terre e rocce escluse dalla normativa sui rifiuti

Tutto quanto sopra riportato non viene applicato qualora sussistano i requisiti previsti dall’art. 185, comma 1, let. c) del TUA e qualora tali terre vengano riutilizzate completamente nel sito di produzione (art. 24). In particolare il produttore potrà esimersi dal rispetto delle norme sui rifiuti qualora il suolo escavato nel corso dei lavori non sia contaminato e sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato. Ferma restando comunque l’obbligo per il produttore, in caso di produzione di terre e rocce da scavo nell’ambito di attività sottoposte a VIA, di predisporre un “Piano preliminare di utilizzo in sito” al fine di accertare la sussistenza di tutte le condizioni necessarie. In questo caso, prima dell’inizio dei lavori, il proponente deve provvedere ai campionamenti necessari al fine di accertare la non contaminazione delle terre e redigere il progetto definitivo con cui intende riutilizzare le terre e in quale quantità.

Conclusioni

Alla luce dei principali punti relativi alla disciplina delle terre e rocce da scavo sopra richiamati, siano le stesse qualificate come ‘sottoprodotti’ o come ‘rifiuti’ o semplicemente escluse dall’ambito di applicazione della norma sui rifiuti ai sensi dell’art. 24 del regolamento, viene da chiedersi se tale disciplina specifica abbia davvero realizzato gli obiettivi di semplificazione e agevolazione a cui la normativa di riferimento era preordinata, ciò in particolare considerazione delle ultime riforme adottate dal legislatore in tema di ‘circular economy’ con il D.Lgs 116/2020, con il quale il legislatore ha cercato di adeguare la gestione dei rifiuti ai modelli e alle prescrizioni di carattere comunitario.

Certamente la previsione, nel DPR 120/2017, di una lunga serie di requisiti e di procedure da rispettare per poter procedere non solo alla ‘gestione’, ma anche all’inizio dei lavori, costituisce gravosi oneri in capo alle imprese che intendono procedere alla realizzazione di opere che comportino la produzione di terre e rocce da scavo. Ciò soprattutto a causa delle numerose analisi da effettuare preventivamente e dei tempi di preavviso (90 giorni per il Piano di utilizzo, 15 giorni per la dichiarazione di utilizzo) con cui il proponente / esecutore dei lavori, deve presentare tutta la documentazione necessaria, con conseguente aumento dei costi.

Ciò nonostante, dall’altro lato della medaglia non si può affermare con certezza che in questo modo sia garantita una maggiore tutela ambientale in conformità con quanto previsto e auspicato a livello comunitario. Difatti, l’espletamento di una lunga serie di analisi e la produzione di diversi documenti prima dell’inizio dei lavori, senza alcuna specifica indicazione sulle modalità con cui le terre e rocce devono effettivamente essere gestite durante i lavori stessi, può facilmente dare luogo a fenomeni di abusivismo o di illegalità, finalizzate unicamente ad aggirare vincoli di una norma che, in realtà, tende a dare un’eccessiva repressione di comportamenti che non alcuna idoneità, di fatto, ad arrecare danno all’ambiente, ma che potrebbero, solo formalmente, non essere conformi a quanto imposto dalla norma stessa.

È il caso, sopra citato, delle conseguenze concernenti il mancato rispetto di limiti temporali di efficacia del Piano di utilizzo. In questo caso, le terre e rocce da scavo, presentano, in ipotesi, caratteristiche completamente idonee a garantire la loro gestione come sottoprodotti e non come rifiuti. Tali caratteristiche ben possono mantenersi costanti, e quindi conformi alle misure di prevenzione ambientale, anche dopo la sopraggiunta scadenza del Piano di utilizzo, in quanto il decorso di questo termine non implica alcun mutamento nella situazione di fatto esistente. Tuttavia in questo caso ci si troverebbe a dover gestire come rifiuti (con le relative pesanti sanzioni) dei materiali che sono perfettamente conformi ai requisiti di tutela e qualità ambientale, ma che, per un mero dato formale (calcolato peraltro, prima dell’inizio dei lavori) risulta essere qualificato diversamente.

* Società di consulenza Ambientale Ambienterosa s.r.l.