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Recupero inerti: allarme delle imprese sulle nuove regole Mite per l’end of waste

inerti

Si avvicina l’entrata in vigore del regolamento end of waste sui rifiuti da costruzione e demolizione, ma se non sarà modificato rischia di diventare un boomerang, con contraccolpi anche sull’ecobonus. Criteri troppo restrittivi ci costringeranno a fermare le attività di recupero a partire da gennaio”. L’allarme è stato lanciato da Paolo Barberi, presidente dell’Anpar, l’associazione che riunisce i produttori di aggregati riciclati, intervistato da Sole24ore, RiciclaTv e Riciclanews. “Il problema riguarda i criteri dei controlli da effettuare sui prodotti delle nostre lavorazioni, indicati nelle tabelle allegate al decreto. E in particolare i valori di concentrazione limite di solventi e idrocarburi policiclici aromatici”.

I solventi, spiega il presidente di Anpar, “non esistono nei nostri prodotti, quindi obbligarci a ricercarli equivale a imporci un inutile balzello”. La presenza dei cosiddetti IPA, invece, è legata principalmente al conglomerato bituminoso, che è uno dei codici EER disciplinati dal decreto: “il limite che ci viene imposto  è più basso di quello previsto nel decreto end of waste del 2018 sul fresato d’asfalto”. Il decreto fissa limiti di concentrazione estremamente restrittivi, “come se i nostri prodotti potessero essere usati solo su suoli agricoli o destinati a verde pubblico”. E non in edilizia o nelle opere infrastrutturali, che invece oggi rappresentano la destinazione prevalente per gli aggregati prodotti dal riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione.

Il decreto EOW inerti

L’Italia sta finalmente per dotarsi di un regolamento end of waste per il riciclo sia di rifiuti inerti derivanti da operazioni di costruzione e demolizione che di rifiuti inerti di origine minerale, attesissimo da tutto il settore. La nuova normativa è forse il tassello più importante per accelerare la transizione verso un’economia davvero circolare.

La bozza del decreto, elaborata in tre anni di lavoro dal ministero della Transizione ecologica, è stata notificata lo scorso 14 marzo alla Commissione Ue per espletare la procedura informativa cui sono sottoposte le regolamentazioni tecniche (il termine del periodo di standstill è previsto per il 15 giugno 2022). Le aziende avranno 180 giorni di tempo dall’entrata in vigore per conformarsi obbligatoriamente alle nuove disposizioni, pena la cessazione delle attività.

I produttori di aggregati riciclati hanno analizzato i dettagli del documento e avvertono: se la bozza di regolamento sui rifiuti inerti non sarà corretta, gli impianti italiani di riciclo di inerti si fermeranno e con essi tutto il settore delle costruzioni, per mancanza di siti dove conferire i rifiuti inerti.

Il presidente Anpar Paolo Barberi riconosce diversi elementi positivi nello schema di decreto: la semplificazione sulle verifiche riguardanti il materiale in ingresso negli impianti di riciclo; la possibilità per i produttori, una volta trasformato il rifiuto in prodotto, di poter accorpare tra loro lotti di prodotti omogenei; l’innalzamento del limite del contenuto di solfati e di cloruri all’interno dell’eluato nei test di cessione; l’elenco delle normative moderne di riferimento sia per la conformità che per l’idoneità all’uso dei prodotti.

Emerge, però, “una grave criticità”. Il punto dolente, rileva l’Anpar, si concretizza nella tabella (allegato I, punto d.1 dello schema di Dm) relativa ai controlli sul prodotto finale, che stabilisce le concentrazioni limite di amianto, idrocarburi aromatici e aromatici policiclici nell’aggregato recuperato. I valori della tabella contenuta nello schema di decreto sono mutuati dalla normativa sulla bonifica dei suoli e, più nel dettaglio, riprendono alcuni valori delle tabelle del Dlgs 152 del 2006 che stabiliscono le concentrazioni soglia di contaminazione per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale. Concentrazioni che riguardano precise sostanze nocive e che, se superate, fanno presumere che il sito sia potenzialmente contaminato e allora scattano le indagini del caso.

In sostanza: il prodotto viene trattato nello schema di Dm alla stregua di un rifiuto e paragonato a un suolo da bonificare, facendo riferimento a usi agricoli o residenziali, benché gli aggregati riciclati siano oggi in larga parte utilizzati per infrastrutture viarie.

“Non si comprende il motivo dell’assimilazione di un prodotto da costruzione, cioè gli aggregati da recupero, a un suolo, né tantomeno il confronto con limiti tabellari che non sono neppure correlati all’effettivo impiego degli aggregati, i quali sono in grandissima parte utilizzati nelle infrastrutture viarie che hanno quasi esclusivamente una destinazione urbanistica, industriale o commerciale e non residenziale – spiega Barbieri – Va evidenziato che tra i parametri di controllo sono ricomprese alcune sostanze che sono costituenti e non contaminanti del rifiuto iniziale che, per forza di cose, si ritrovano anche nel prodotto end of waste e in concentrazioni difficili da determinare a priori e tanto meno regolabili durante il processo di recupero, ma con molta probabilità ben superiori ai limiti stabiliti”. I limiti sarebbero quindi inutilmente severi, soprattutto andrebbero differenziati a seconda degli usi.

Le richieste degli operatori del settore

Gli operatori del settore hanno immediatamente riattivato un confronto con il ministero della Transizione ecologica “interrotto a luglio 2020”, trovando “disponibilità all’ascolto da parte del ministero” (Anpar aveva fatto parte di un tavolo tecnico istituito dal ministero dell’Ambiente ai fini della redazione della norma). “Non abbiamo alcun intento bellicoso, ma nel momento in cui questo decreto, così come è stato mandato all’Europa, sarà ufficiale e attuativo, gli impianti di recupero di rifiuti inerti dalle attività di costruzione e demolizione saranno costretti a chiudere e di conseguenza il mondo delle costruzioni si bloccherà per la mancanza di siti per il conferimento dei propri rifiuti inerti. Noi non diciamo che chiuderemo per protesta, ma purtroppo saremo costretti a chiudere”, rimarca il presidente.

La richiesta dei produttori è di rivedere i limiti che definiscono i requisiti di qualità ambientale degli aggregati riciclati e differenziare le concentrazioni limite per sostanza a seconda degli usi. A questo scopo stanno elaborando un dossier fatto di certificati analitici che le nostre aziende stanno facendo sui propri prodotti, agendo come se questo decreto fosse già pubblicato e operativo. “Dai primi risultati emerge che per quanto riguarda gli Ipa e gli idrocarburi pesanti, i prodotti sono sempre fuori tabella. Per il 90% i nostri prodotti vengono utilizzati per fare strade; quindi, certamente nulla hanno a che vedere con i suoli agricoli o residenziali”.

La tabella (allegato I, punto d.1 dello schema di Dm, nda) contiene peraltro alcuni elementi che non sono pertinenti ai rifiuti inerti dalle attività di costruzione e demolizione: “I solventi organici non si trovano nei nostri rifiuti e di conseguenza prodotti; ci obbligano a cercarli e questo comporterà un aggravio di costi. Ripeto un aggravio di costi inutile perché non ci possono essere” nota il presidente.

“Noi abbiamo anche proposto di mantenere i limiti restrittivi (presenti nello schema di Dm, nda) per le opere di ingegneria naturalistica, per le rimodellazioni del territorio, per i ripristini ambientali di cave dismesse, e di renderli meno severi per la costruzione di un piazzale, di un parcheggio, di una strada, un riempimento di fondazioni”.

Le conseguenze sul settore

Secondo l’ultimo rapporto Ispra sui rifiuti speciali, i rifiuti provenienti dalle attività di costruzione e demolizione nel 2019 hanno raggiunto i 68,3 milioni di tonnellate e il tasso di recupero è stato del 78,1%. Un risultato certamente virtuoso. I rifiuti minerali da costruzione e demolizione rappresentano un flusso importante, pari a 46,9 milioni di tonnellate, e la percentuale che viene preparata per il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero è pari al 77,3%, escludendo gli inerti reimpiegati nelle colmatazioni.

“Se il decreto andrà in vigore così com’è adesso, noi passeremo realisticamente nel 2023 da un livello di riciclaggio di circa il 78% a un livello di riciclaggio che probabilmente non supererà il 10% – ragiona Barberi – Bisognerebbe capire che noi abbiamo l’interesse a lavorare bene perché i nostri impianti comportano investimenti di milioni di euro, danno lavoro a migliaia di persone a livello nazionale. Io mi sento di garantire che dei circa 1800 impianti, autorizzazioni, che ci sono in Italia per il recupero di rifiuti inerti, la stragrande maggioranza è gestita da aziende serie che hanno interesse a lavorare nella legalità”.

I limiti fissati dallo schema di decreto aprono scenari a tratti paradossali. Il PNRR inserisce infatti il regolamento end of waste sui rifiuti da costruzione e demolizione tra le riforme da adottare entro questa primavera anche per garantire la corretta gestione dei rifiuti generati dagli interventi di efficientamento energetico finanziati con l’ecobonus, ma i limiti di concentrazione, spiega Barberi, vanificheranno questa ambizione.

Un esempio concreto: “Per fare il ‘cappotto termico’ – spiega ancora Barbieri – c’è da spicconare l’intonaco, che è fatto da materiale inerte legato a calce. Se riciclato nei nostri impianti, quell’intonaco darà origine a prodotti che supereranno in maniera importante il limite di 750 mg per litro per i solfati”. Senza che questo tuttavia rappresenti una minaccia. “Tutti, sia Ispra che l’Istituto Superiore di Sanità che il Ministero della Transizione Ecologica – dice Barberi – sanno che quel contenuto di solfati non comporta danni per la salute o per l’ambiente. Purtroppo però gli intonaci generati dai lavori dell’ecobonus, se riciclati nei nostri impianti, daranno origine a prodotti non conformi al decreto end of waste. In sostanza non potremo riciclarli e saremo costretti a conferirli in discarica”.

Secondo Anpar i nuovi limiti di concentrazione sono restrittivi al punto da mettere le imprese del riciclo nelle condizioni di non poter operare su buona parte dei rifiuti in ingresso nei loro impianti. “Ance (l’associazione nazionale dei costruttori, ndr) è preoccupata quanto noi – dice Barberi – perché di fatto bloccheremo i loro cantieri, che genereranno rifiuti che noi non saremo più capaci di ricevere, mentre a valle tutte le infrastrutture che oggi utilizzano aggregati riciclati torneranno a utilizzare prodotti naturali”.

“Nella sua prima formulazione – conclude Barberi – il decreto era addirittura retroattivo, cioè vincolava ai limiti indicati nelle tabelle anche gli aggregati già pronti negli impianti. Una evidente aberrazione”. Il nuovo testo invece concede alle imprese un periodo transitorio di sei mesi. “Ciò significa che che potremo continuare a vendere i materiali da riciclo già pronti negli impianti fino alla fine dell’anno, poi saremo costretti a fermare le nostre attività di recupero“.