
Sono oltre 32.000 i metri cubi di rifiuti radioattivi attualmente presenti in Italia, ai quali se ne aggiungeranno almeno altri 48.000 derivanti dalle attività di smantellamento delle quattro centrali nucleari dismesse. È quanto emerge dalla Relazione annuale dell’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, presentata al Governo e al Parlamento. Il documento fotografa con precisione lo stato della sicurezza nucleare in Italia, evidenziando una criticità ormai non più rinviabile: la mancanza del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi.
I numeri del problema
Alla fine del 2023 l’Inventario nazionale dell’Isin censiva 32.663 metri cubi di rifiuti radioattivi distribuiti in una ventina di depositi temporanei dislocati su tutto il territorio nazionale. La maggior parte di questi rifiuti proviene da attività mediche, industriali, diagnostiche e di ricerca, ed è classificabile come a bassa o molto bassa attività. Oltre a questi, circa 6.615 m³ sono di origine medico-industriale, per una radioattività complessiva di 1.355 GBq.
A questi si aggiungeranno, nei prossimi anni, i rifiuti generati dalle operazioni di smantellamento delle installazioni nucleari italiane – stimati in 48.000 m³ – e quelli derivanti dal riprocessamento del combustibile nucleare all’estero: circa 83,5 m³ di rifiuti ad alta e media attività, che una volta rientrati in Italia comporteranno un volume lordo di stoccaggio di circa 780 m³, a causa dell’ingombro dei contenitori metallici (cask) per il trasporto e la conservazione.
Trattamento e condizionamento ancora incompleti
Solo il 29% dei rifiuti radioattivi è stato finora sottoposto a trattamenti di condizionamento per renderli sicuri e idonei al trasporto e allo smaltimento. Il restante 71% rappresenta una criticità rilevante, aggravata dall’uso – in alcuni casi – di depositi temporanei vetusti, che richiedono continui interventi di adeguamento per garantire gli standard di sicurezza.
Secondo l’Isin, è fondamentale accelerare i processi di trattamento e condizionamento dei rifiuti, così da ridurne la pericolosità e garantirne la tracciabilità in vista di uno smaltimento definitivo.
Un deposito che non c’è
Il nodo centrale resta però l’assenza del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, struttura necessaria per chiudere il ciclo della gestione in sicurezza di questi materiali. La Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI) è ancora in fase di Valutazione Ambientale Strategica e le circa 50 località individuate hanno tutte manifestato la propria indisponibilità ad accogliere l’opera. Anche il tentativo del Governo di aprire a nuove autocandidature è andato a vuoto.
Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato che, secondo le stime attuali, l’autorizzazione unica per il deposito potrebbe arrivare nel 2029, con l’entrata in esercizio prevista non prima del 2039.
Il ruolo dell’ENEA e della Nucleco
Nel frattempo, la gestione dei rifiuti radioattivi non energetici – provenienti da fonti dismesse, attività sanitarie e industriali – è affidata all’ENEA e alla sua partecipata Nucleco S.p.A., nell’ambito del Servizio Integrato. Si tratta di rifiuti che continuano a essere generati ogni giorno, e per i quali è necessario garantire una gestione stabile e sicura, anche in assenza del deposito nazionale.
Una questione di sicurezza e responsabilità
A dieci anni dalla sua istituzione (2014), l’Isin ribadisce che la sicurezza nucleare e la protezione della popolazione e dell’ambiente dalle radiazioni ionizzanti non possono prescindere da una soluzione definitiva per la gestione dei rifiuti radioattivi. Il deposito nazionale non è solo un’esigenza tecnica, ma una scelta strategica di responsabilità, senza la quale il nostro Paese continuerà a procrastinare una questione che coinvolge sicurezza, sostenibilità e trasparenza verso i cittadini.
La Relazione dell’Isin arriva in un momento in cui il dibattito nazionale sull’energia e sull’eredità nucleare è ancora aperto, ma una cosa è certa: anche senza nuove centrali, i rifiuti radioattivi ci sono, e vanno gestiti.