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Italy for Climate: Europa, un voto per il clima

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ll clima e la transizione energetica sono sempre più al centro del dibattito pubblico, in questi giorni ancor di più con l’avvicinarsi delle elezioni europee: si sta giocando un’importante partita per la leadership della nuova economia globale decarbonizzata e ciò che emergerà dalle urne potrebbe decidere le sorti dell’Unione Europea in questa sfida.

“Europa, un voto per il clima”

Tuttavia il dibattito pubblico è ancora influenzato da cattiva informazione e pregiudizi.
Per questo Italy for Climate ha realizzato lo special report “Europa, un voto per il clima” che analizza 5 falsi miti su rischi e opportunità della transizione energetica per l’UE, lo stato dell’arte e le prospettive delle prime economie grandi emettitrici nella corsa per la leadership climatica e i contributi dei diversi Stati membri (tra cui, ovviamente, l’Italia) alle performance europee.

Scorpi il Report qui.

5 falsi miti

Quali sono i pregiudizi sui possibili rischi (e le opportunità) per l’UE nell’investire sulla transizione energetica?
Italy for Climate ha approfondito 5 falsi miti che potrebbero influenzare presente e futuro dell’Unione.

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Falsomito#1: L’Unione europea sta perseguendo obiettivi troppo ambiziosi e dovrebbe, invece, rallentare sulla via della decarbonizzazione! 

L’Unione europea è uno dei più grandi emettitori di gas serra al mondo, il quarto al mondo da pochissimo superato dall’India (e lo è ancora di più, ovviamente, se guardiamo alla sua responsabilità storica, secondo subito dietro agli USA e davanti alla Cina). A dettare i tempi, oggi, è proprio l’incredibile accelerazione della crisi climatica a cui sitiamo assistendo negli ultimissimi anni, che ha portato nel 2023 a sfiorare quel limite dei +1,5 °C rispetto al periodo preindustriale che ci eravamo dati a Parigi per tutto il secolo in corso e che ha innescato un acceso dibattito tra gli scienziati del clima se quell’obiettivo sia ancora tecnicamente raggiungibile. A questo si aggiunge il fatto che l’ultima valutazione degli impegni presi dai Governi di tutto il mondo nell’ambito dell’Accordo di Parigi, tra cui anche quelli i dell’Unione europea, svolta in occasione della COP28 di Dubai (il c.d. Global Stocktake) li ha classificati come inadeguati a contrastare la crisi climatica in corso e a rispettare gli impegni presi nel 2015, richiamando tutte le parti a presentare entro il prossimo anno nuovi e ancora più sfidanti obiettivi di riduzione. A qualcuno sembra davvero un contesto in cui bisognerebbe rallentare? 

Falsomito#2: L’Unione europea non deve entrare nel merito delle scelte di singole tecnologie ma, viceversa, deve adottare un approccio quanto più possibile “tecnologicamente neutro” lasciando fare al mercato! 

Per cambiare passo sulla via della decarbonizzazione servono scelte chiare che siano in grado di indirizzare il sistema industriale verso soluzioni sostenibili sul breve e lungo periodo. Nonostante la reticenza ma anche le oggettive difficoltà, questo approccio sta diventando parte integrante degli accordi internazionali, come ci dimostra ad esempio il target – molto impegnativo per la verità – fissato all’ultima COP di triplicare le fonti rinnovabili entro il 2030 (non generiche tecnologie a zero emissioni, ma proprio fonti rinnovabili) o il phase out dal carbone recentemente sottoscritto nell’ambito dell’incontro G7 italiano sul clima. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) già da alcuni anni ha proposto una roadmap per decarbonizzare il sistema energetico globale con tappe molto precise che prevedono, ad esempio, già dal 2025 di vietare la vendita di nuove caldaie alimentate a combustibili fossili (come il gas), dal 2030 di realizzare solo nuovi edifici  a zero emissioni o dal 2035 di arrivare nei paesi industrializzati a sistemi di generazione elettrica a zero emissioni. Solo in questo modo, dando segnali chiari al mercato sul futuro delle diverse tecnologie ma senza ovviamente fermare la ricerca di nuove soluzioni, potremo pensare di realizzare in pochissimi anni una vera e propria rivoluzione del sistema energetico globale. Specie se, come spesso accade, dietro al motto della “neutralità tecnologica” si cela la volontà di rallentare il cambiamento.  

Falsomito#3: Se l’Unione europea punterà sulla decarbonizzazione, rischierà di perdere competitività e di essere spiazzata sui mercati globali! 

In realtà la transizione energetica, per chi ancora non se ne fosse accorto, nel mondo reale è già in corso, anche se a velocità ancora insufficiente a tenere il passo della crisi climatica galoppante. Moltissime imprese, prima ancora che i Governi, hanno già rivisto da diversi anni le proprie priorità negli investimenti anche riorientando in modo drastico il proprio modello di business. Già nel 2016, sempre secondo i dati della IEA, gli investimenti mondiali nelle energie pulite hanno superato quelle nei combustibili fossili e nel 2023 si stima abbiano raggiunto i 1.700 miliardi di $ contro i poco più di mille miliardi dei fossili. Irena ci dice che nel mondo ogni 10 kW di nuova capacità di generazione elettrica installata 8 kW sono alimentati da fonti rinnovabili. Questo trend anno dopo anno si consolida e, per rispettare gli impegni sul clima, si prevede che gli investimenti sulle energie pulite – in larghissima parte su rinnovabili, elettrificazione e reti – debbano più che raddoppiare già al 2030. Difendere oggi lo status quo e gli investimenti nei combustibili fossili, cercare di rallentare il cambiamento in una fase storica che rivoluzionerà in pochi anni un settore come quello energetico, ricorda un po’ quelli che alla vigilia della rivoluzione dei trasporti difendevano le carrozze coi cavalli affermando che quei buffi trabiccoli motorizzati a quattro ruote non avrebbero mai avuto futuro.  

Falsomito#4: Se l’Unione europea si ostinerà a perseguire obiettivi climatici troppo ambiziosi, arrecherà un danno alla propria economia e si perderanno posti di lavoro! 

In parte a questo falso mito abbiamo già risposto al punto precedente, mostrando come il mercato si sia già orientato in direzione della transizione energetica e cercare di frenare possa mettere a rischio la competitività di una economia, con effetti negativi anche in termini di occupazione. Ma c’è di più. È proprio la crisi climatica incontrollata, oggi, a rappresentare la principale minaccia per l’economia mondiale, inclusa l’Europa in cui il riscaldamento globale viaggia più velocemente rispetto alla media europea. I costi della crisi climatica superano già oggi quelli che sarebbe necessario mettere in campo per tagliare le emissioni e questa forbice è destinata ad accrescersi in futuro: secondo un recente studio del Fondo Monetario Internazionale, a fronte di costi di mitigazione stimati tra l’1 e il 2% del Pil mondiale annuo, i benefici netti per l’economia globale porterebbero ad un aumento del Pil fino all’8% nel 2050. Anche in termini di occupazione, investire nella transizione green farebbe cresce il numero degli occupati del settore energetico, come ci dice sempre la IEA stimando che in uno scenario compatibile con il net-zero nel settore dell’energia si passerebbe a livello globale dagli attuali circa 65 milioni a circa 90 milioni di occupati nel 2030 (di cui l’80% impiegati nelle energie pulite). Il saldo, insomma, sarebbe decisamente positivo, poi starà alle politiche locali essere in grado di massimizzare questi benefici accompagnando e sostenendo la transizione del sistema industriale e i primi a partire saranno, ovviamente, i più avvantaggiati.  

Falsomito#5: L’Unione europea non deve muoversi sulla via della decarbonizzazione senza un accordo che coinvolga operativamente tutti i Governi del mondo perché sarebbe inutile e dannoso! 

Sui potenziali danni per l’economia abbiamo già provato a rispondere nei punti precedenti. Ma in realtà, se guardiamo ai dati sulle emissioni, dobbiamo anche ammettere che non ha senso dover attendere che 200 Paesi si mettano in marcia contemporaneamente. Cina, Usa, India e Unione europea da sole sono responsabili di oltre la metà delle emissioni globali. Se consideriamo anche gli altri sei grandi emettitori, complessivamente i primi dieci emettitori al mondo sono responsabili da soli del 70% delle emissioni globali di gas serra. Guardando da un’altra angolazione, senza tirare in ballo responsabilità storiche che per decenni hanno ostacolato il consenso internazionale, possiamo anche riconoscere che gli ultimi 100 Paesi emettitori, che peraltro sono quelli che pagheranno maggiormente i costi della crisi climatica in corso, da soli sono responsabili appena del 2% delle emissioni globali. Se il gruppo dei principali emettitori, tra cui l’Europa, decidesse davvero di impegnarsi per raggiungere la neutralità climatica prima del 2050, gli effetti sulle emissioni sarebbero sicuramente molto rilevanti tanto da indurre la svolta di cui avremmo bisogno. Inoltre, rappresentando anche i principali mercati del mondo, sarebbero loro a definire gli standard a cui anche gli altri Governi dovrebbero necessariamente adeguarsi.  

Cina, Usa, India e UE: quali saranno i leader della transizione? 

I primi quattro grandi emettitori sono responsabili del 54% delle emissioni globali di gas serra, ma stanno anche mettendo in campo risorse e strategie per accaparrarsi la leadership della nuova economia decarbonizzata. ​

Nelle trattative globali sul clima, a cominciare da quelle svolte nell’ambito della Conferenza Quadro sul Cambiamento Climatico dell’ONU, si ricerca continuamente la massima condivisione possibile se non addirittura la piena unanimità. Ma ovviamente le responsabilità non sono tutte uguali e in materia di contrasto alla crisi climatica, in particolare, 4 grandi economie globali, i c.d. “big emitters”, da sole sono responsabili di oltre la metà delle emissioni globali di gas serra.

Cina, Usa, India e Unione europea presentano storie e situazioni molto diverse tra di loro ma sono accomunate dalla grande rilevanza che hanno nel percorso di decarbonizzazione dell’economia mondiale.

  • La Cina è diventato il primo grande emettitore a causa di un rapido sviluppo economico che è stato alimentato in larghissima parte da un enorme sfruttamento di combustibili fossili e, in particolare, di carbone. Ma al tempo stesso è anche di gran lunga il Paese che più di tutti sta investendo sulle tecnologie della decarbonizzazione, a cominciare dalle fonti rinnovabili fino ad arrivare all’auto elettrica: solo nel 2023 ha investito quasi 700 miliardi di $ nella transizione energetica.
  • Gli Stati Uniti sono sempre stati particolarmente sensibili agli umori della politica interna e hanno conosciuto alti e bassi negli ultimi decenni nelle politiche in favore del clima. Hanno ancora le emissioni pro capite di gran lunga più elevate tra i grandi emettitori ma negli ultimi anni hanno iniziato a puntare sulla transizione energetica con maggiore determinazione. E con l’Inflaction Reduction Act hanno messo 400 miliardi di $ sulle tecnologie per la decarbonizzazione.
  • L’India, che ha appena scavalcato l’Unione europea diventando il terzo emettitore globale, presenta livelli di emissioni ancora molto bassi ma con 1,3 miliardi di individui e un grande bisogno di migliorare i propri standard economici, se non impronterà  fin da subito il suo sviluppo futuro a un modello economico e industriale decarbonizzato da sola manderà all’aria qualsiasi tentativo di limitare il riscaldamento globale come concordato a Parigi.
  • L’Unione europea, infine, fino ad oggi è stata leader nella lotta alla crisi climatica e nella promozione della transizione energetica, come dimostra il taglio delle emissioni di quasi il 30% dal 1990 a oggi e gli obiettivi ambiziosi al 2030 e oltre. La sfida è proprio quella di riuscire a mantenere questa leadership in una fase nuova, con nuovi player sul mercato globale e una competizione sempre più spinta proprio sulle tecnologie e sulla innovazione green.
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