Home Ambiente Inquinamento atmosferico: perché l’aria della Pianura Padana è tra le peggiori d’Europa?

Inquinamento atmosferico: perché l’aria della Pianura Padana è tra le peggiori d’Europa?

La relazione è semplice: più polveri, più malattie. Ogni anno questa realtà si rende evidente, visibile all’occhio e percepibile dai polmoni

Non vogliamo rinunciare all’automobile.
Non riusciamo a rinunciare al riscaldamento.
Non possiamo rinunciare all’agricoltura.
Ma stiamo rinunciando alla nostra salute.

La relazione è semplice: più polveri, più malattie. Ogni anno questa realtà si rende evidente, visibile all’occhio e percepibile dai polmoni. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) oggi l’inquinamento atmosferico provoca 461mila decessi prematuri l ’ anno solo in Europa, 20 volte di più delle vittime per incidenti stradali. Per chi abita in Pianura Padana, una delle zone più inquinate del continente, sembra un destino inevitabile.

Ma l’inquinamento sta aumentando? Quali sono le cause principali? Come possiamo difenderci? Il Centro Epson Meteo risponde a queste domande, impegnandosi nel percorso verso un’aria di qualità. I dati sorprendono: le principali fonti di PM10 sono estremamente diversificate, dalle pizze cotte a legna alle cattive pratiche agricole. L’analisi della Presidente di Italian Climate Network Serena Giacomin.

L’ inquinamento sta davvero aumentando sempre di più?
Prendiamo ad esempio la Lombardia, ben rappresentativa delle concentrazioni complessive del bacino padano e i cui dati d’inquinamento (in particolare delle polveri sottili, PM10 su cui ci concentreremo) sono ampiamente disponibili sul sito dell’ARPA della Regione. Nonostante le oscillazioni nelle concentrazioni di PM determinate anche dalle condizioni meteorologiche, i dati dimostrano una tendenza al miglioramento negli ultimi decenni. L’aria resta troppo inquinata, ma l’inquinamento è in calo. Le concentrazioni che si misurano oggi sono anche di ordini di grandezza inferiori a quelle rilevate negli anni ‘70 ,‘80 e ‘90 del secolo scorso. Uno sforzo mirabile per la Pianura Padana, ma comunque non sufficiente per rientrare nei limiti di legge (d.lgs 155/2010 che ha recepito la direttiva Ue sulla qualità dell’aria) abbondantemente superati tutti gli anni.

Quali sono le condizioni meteo che tappano il ‘catino padano’?
“I fattori orografici e meteorologici contribuiscono in modo significativo alle elevate concentrazioni di inquinanti atmosferici che fanno della Val Padana una delle zone più inquinante d ’ Europa , nonostante le emissioni siano paragonabili a quelle di altre aree sviluppate” – conferma il meteorologo del Centro Epson Meteo Flavio Galbiati – “questo perché il ‘catino’ padano è circondato dalla catena montuosa alpina che influenza il regime dei venti, la cui intensit à risulta generalmente molto debole. Un altro importante fattore è l ’ elevata frequenza di situazioni meteorologiche caratterizzate da stabilit à atmosferica. Queste condizioni, tipiche del semestre invernale in caso di alta pressione, hanno origine dal fenomeno meteorologico dell ’ inversione termica. In pratica in atmosfera la temperatura non diminuisce salendo di quota, come ci si aspetterebbe, ma ad un ’ altezza di 800/1000 metri si riscontra una temperatura più alta di quella dello strato inferiore. Si modifica così la circolazione locale dell ’ aria: quella più fredda dei bassi strati, essendo più densa e pi ù pesante, non può sollevarsi verticalmente oltre la quota dell ’ inversione. Si viene a creare quindi un vero e proprio ‘tappo’ che impedisce il ricambio d’aria, intrappolando gli inquinanti in prossimit à del suolo, dove la loro concentrazione, giorno dopo giorno, non potr à che aumentare”. Da una parte le emissioni del bacino tendono quindi al ristagno, dall’altra gli inquinanti si diffondono e rimescolano all’interno del ‘catino’ e al di sotto della quota di inversione termica. In effetti, quando si valuta la concentrazione di inquinanti quali il particolato atmosferico, ci si rende conto di come i valori siano spesso omogenei nel bacino e non concentrati intorno alle sorgenti inquinanti. Solo in prossimità dei rilievi le condizioni cambiano, poiché in genere la ventosità aumenta e le condizioni sono più favorevoli alla dispersione.

Quali sono le principali fonti di inquinamento da polveri sottili?
Innanzitutto è utile distinguere il PM10 primario da quello secondario: il PM10 primario è mmesso direttamente in atmosfera e ammonta a circa il 35%; il PM10 secondario si forma in aria per successive reazioni chimiche e ammonta al 65% circa.
In cima alla classifica delle sorgenti primarie di PM10 c’è il riscaldamento con un 45%, di cui il 97% da combustione di legna; il trasporto su strada è al secondo posto con il 25% delle colpe (tra cui spiccano il diesel e l’usura di freni, pneumatici e manto stradale); l’agricoltura si attesta al terzo posto con l’6,7%. L’industria non compare tra i primi posti.

Tutta colpa del riscaldamento?
In alcune città il contributo dato dal riscaldamento alle emissioni di PM10 può anche essere rilevante, ma non in altre citt à che sono ampiamente metanizzate: la combustione del metano produce anidride carbonica ed acqua. Se, dunque, l’emissione di anidride carbonica contribuisce a dare il suo contributo al gravissimo fenomeno del cambiamento climatico incrementando l’effetto serra, tuttavia la combustione del metano evita di aggiungere micropolveri nell’atmosfera che respiriamo.

Bruciare legna è così inquinante?
Nel 2015, pur riscaldando solo il 7% degli ambienti la combustione della legna è stata la principale fonte di PM10 a causa degli elevati fattori di emissione a parità di calore prodotto: le stufe tradizionali a legna hanno prodotto 2028 tonnellate di PM10 nella sola Lombardia; le stufe a pellet o cippato sono arrivate a 340 tonnellate; le caldaie a metano hanno toccato le 50 tonnellate in un anno, ma con una diffusione radicale nel territorio. Del resto il costo del riscaldamento a legna è competitivo, il combustibile è di utilizzo facile e sicuro. Stupisce che vi siano incentivi che ne favoriscano il ricorso! Da notare che la legna, non solo è una significativa fonte di inquinamento, ma è anche una risorsa importante nella lotta ai cambiamenti climatici, aspetto che non può essere trascurato. Una curiosità: è interessante notare come a Milano nel periodo delle festività natalizie l’incidenza delle stufe a legna triplichi, a causa del maggiore uso dei caminetti, anche a scopo estetico.

Quanto emettono le auto?
Le emissioni di particolato connesse al trasporto su strada sono molto significative soprattutto nelle aree urbane. In genere i veicoli con motore diesel emettono una quantità maggiore di particolato fine rispetto ai veicoli con motore a benzina. Altrettanto certo è il legame fra la cilindrata del veicolo e la quantità del particolato prodotto: più potente è il veicolo e maggiore è la quantità di particolato prodotto. Oltre agli scarichi dei motori, ci sono altre fonti di PM10 connesse al traffico su strada: molte polveri sottili vengono prodotte dall’usura di gomme, freni e dall’abrasione dell’asfalto, costituendo circa il 25% delle emissioni di PM10 da traffico veicolare su strada.

Quanto inquina l’agricoltura?
Finora sono state prese in considerazioni le percentuali emissive del PM10 primario, ma passando al PM10 secondario (cioè al 65% delle emissioni totali) emergono dei dati molto significativi. Le attività agricole (compreso l’allevamento) emettono nell’atmosfera ammoniaca, dallo spargimento di liquami, dall’uso fertilizzanti e dalle deiezioni degli allevamenti. L’ammoniaca nell’aria reagisce con nitrati e solfati (prodotti dagli scappamenti delle auto) e forma particolato fine. Nel caso dell’agricoltura si deve, quindi, considerare il PM10 secondario generato soprattutto dalle elevatissime (98%) emissioni di ammoniaca (NH3). Il risultato? Il 35% del PM10 che si respira nell’area circostante Milano deriva proprio dalla reazione dell’ammoniaca.

Cosa c’entra l’aria sporca con il cambiamento climatico?
E’ vero, qualità dell’aria e cambiamento climatico non sono la stessa cosa: gli ordini di grandezza spaziali e soprattutto temporali sui quali essi si sviluppano forniscono una sorta di giustificazione per affrontarli (soprattutto dal un punto di vista operativo) in modo separato. Ma negli ultimi anni nella comunità scientifica ci si è resi conto che esistono sufficienti aspetti comuni, tali da giustificare azioni congiunte. Innanzitutto, in molte regioni del mondo si prevede che il cambiamento climatico influisca sulle condizioni atmosferiche locali, compresa la frequenza di episodi prolungati di aria stagnante con una pessima qualità dell’aria. Ma ora prendiamo, ad esempio, il metano: oltre a essere un gas serra climalterante, contribuisce anche alla formazione dell’ozono a livello del suolo, il quale è a sua volta uno dei maggiori inquinanti atmosferici con effetti sulla salute umana e l’ambiente in Europa. Il particolato poi è un inquinante complesso: a seconda della sua composizione può avere un effetto di raffreddamento o riscaldante sul clima locale: il nerofumo, uno dei componenti del particolato fine, assorbe le radiazioni solari e infrarosse con un effetto di riscaldamento; altri tipi di particolato che contengono composti di azoto o zolfo hanno l’effetto opposto, perché agendo come piccoli specchi riflettono l’energia e quindi provocano un raffreddamento.
La sfida da affrontare in futuro sar à assicurare che le politiche relative al clima e alla qualit à dell’aria si concentrino su scenari vincenti su tutti i fronti.

Nonostante le azioni intraprese, tra le principali sfide ancora aperte rimangono sicuramente la riduzione delle emissioni dei veicoli diesel e quelle della combustione da legna per il riscaldamento civile in impianti di piccola taglia. Ma se il problema delle emissioni veicolari è ben noto e per certi versi affrontato, ancora difficile è convincere l’opinione pubblica della necessità di limitare e ottimizzare il più possibile l’uso della biomassa legnosa nel riscaldamento civile. Inoltre il comparto agricolo dovrà promuovere interventi volti a ridurre le emissioni di ammoniaca e a mitigare l’impatto degli allevamenti. L’educazione ambientale risulta fondamentale per raggiungere questi obiettivi. È ormai giunto il momento di prendere decisioni forti, non solo da parte delle istituzioni, ma anche da parte dei cittadini più consapevoli che vogliono tornare a respirare aria pulita.