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Spreco alimentare, italiani più attenti, ma è ancora troppo il cibo che finisce nella spazzatura

Oggi, nella giornata dello spreco alimentare in Italia, resi noti i dati: famiglie più attente, ma resta ancora molto da fare nelle mense scolastiche e nella grande distribuzione

Un etto a testa, al giorno. È il cibo che in media finisce nella spazzatura nelle case degli italiani, secondo gli ultimi dati raccolti dal progetto Reduce, coordinato da Luca Falasconi dell’Università di Bologna e promosso dal ministero dell’Ambiente in collaborazione con l’università di Bologna e la campagna Spreco Zero, e resi noti alla vigilia della 5° Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare. Ogni anno la famiglia media butta 84,9 chilogrammi, dato che a livello nazionale fa salire il conto a 2,2 milioni di tonnellate di cibo. Spreco che ci costa 8,5 miliardi di euro, circa lo 0,6 per cento del pil (prodotto interno lordo).

È questo il quadro che emerge dalla prima ricerca condotta nel nostro Paese e basata su dati reali: 400 le famiglie coinvolte che, per una settimana e sotto il coordinamento della ricercatrice Claudia Giordano dell’università di Bologna, hanno annotato scrupolosamente quanto fosse il cibo buttato, di che tipo e il perché non venisse consumato, in un diario compilato quotidianamente.

In Italia si spreca di meno

Numeri certo alti, che però risultano essere il 40 per cento in meno rispetto all’ultimo rapporto Waste Watcher 2016 (le stime parlavano di 16 miliardi di danno economico, pari all’1 per cento del pil). “È certamente una buona notizia che sta a dimostrare in primo luogo che abbiamo messo a punto una metodologia quantitativa che ci ha dato una misurazione inferiore alla stime precedenti”, spiega il professor Andrea Segrè, docente di Politica agraria internazionale e comparata all’università di Bologna e fondatore Last Minute Market. “In seconda battuta, ci dimostra che le campagne lanciate ormai dieci anni fa e sopratutto l’istituzione della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, abbiano in qualche modo aumentato la consapevolezza dei consumatori italiani”.

Si spreca di più a scuola e nei supermercati

Ma sono altri i numeri che fanno riflettere. Secondo lo studio, coordinato dal ricercatore Matteo Boschini dell’università di Bologna, e che ha coinvolto 73 plessi di scuola primaria, 35 dei quali in Emilia Romagna, 25 in Lazio e 18 in Friuli Venezia Giulia, si è evidenziato come il 29,5 per cento del pasto viene gettato. “Nel luogo reputato a fare educazione alimentare, il cibo viene invece buttato. Sono soprattutto frutta e verdura gli alimenti più sprecati, che dal punto di vista della nutrizione dovrebbero essere parte fondamentale del pasto”, sottolinea Segrè. Anche la grande distribuzione registra dati elevati, sopratutto per quel 35 per cento di spreco che potrebbe essere recuperabile per l’alimentazione umana. Ma c’è un dato in controtendenza: sprecano di più i supermercati più piccoli, che i grandi ipermercati (18,8 kg/anno dei primi contro i 9,5 kg/anno dei secondi).

Funziona la legge sullo spreco alimentare

Con l’entrata in vigore della legge Gadda, le donazioni e il recupero sono però aumentati. Secondo il Banco Alimentare le donazioni delle eccedenze hanno segnato una crescita del 21,4 per cento, ovvero sono state recuperate 5.573 tonnellate di derrate alimentari (ottobre 2016-settembre 2017), contro le 4.635 dell’anno precedente. “Dopo l’entrata in vigore della legge 166, abbiamo riscontrato un progressivo cambio di cultura degli operatori della filiera, concretamente testimoniato dall’aumento dei punti vendita disponibili e per quantità di alimenti recuperati”, commenta in una nota Andrea Giussani, presidente di Banco Alimentare. Anche Coop ad esempio riferisce che l’incidenza media delle eccedenze alimentari è dimezzata rispetto a quella registrata dal resto della grande distribuzione, sottolineando come le donazioni siano aumentate del 15 per cento rispetto all’anno precedente: 6mila tonnellate di derrate alimentari donate a più di 900 associazioni, per un valore pari a 28 milioni di euro.

Campagne di sensibilizzazione condotte anche dalle aziende, nell’ambito di progetti educativi o di responsabilità sociale, attivati nelle scuole, nelle famiglie, sui social network. Come il progetto “Momenti da non sprecare” di Whirlpool, che ha visto lo scorso anno partecipare attivamente più di 550 classi nelle scuole primarie di Lombardia e Marche. Lo scopo era appunto quello di insegnare agli studenti cos’è lo spreco alimentare e quali invece le buone pratiche da applicare tutti i giorni in famiglia, dal fare la spesa alla conservazione corretta degli alimenti.

O come “Share a meal”, campagna promossa da Unilever Italia in collaborazione con il World food programme (Wfp), che ha chiesto ai partecipanti di impegnarsi a partire dalla cucina, inventando e testando nuove ricette antispreco. L’obiettivo era quello di risparmiare e allo stesso tempo invitare tutti i partecipanti a fare una donazione per sostenere il programma School Meals in Kenya. Dal 2014 a oggi è stato possibile donare l’equivalente di circa 4 milioni di pasti nelle scuole del Paese africano, aiutando i minori a frequentare la scuola e avere un pasto quotidiano garantito. “In un mondo come quello di oggi non possiamo non pensare che ciò che avviene da noi non abbia ripercussioni dall’altra parte del pianeta. Lo spreco ha un impatto sull’ambiente, perché si perdono risorse, energia e si creano rifiuti”, dichiara Tiziana dell’Orto, direttore generale di Wfp. “Risparmiando sullo spreco possiamo anche pensare di donare qualcosa a coloro i quali non è garantito l’accesso al cibo”. La ricetta è presto scritta: prevenzione ed educazione nella case degli italiani, recupero e donazioni da parte delle aziende operanti nel settore. Lo spreco alimentare è un lusso che non possiamo più permetterci.